CITTADINANZA ONORARIA ALL’ESERCITO ITALIANO
Era il 23 Novembre del 1980 quando, alle 19:34, una forte scossa di terremoto colpì, diverse aree del Mezzogiorno d’Italia tra Campania, Basilicata, Molise e nord della Calabria.Oggi, nel ricordo di quella terribile giornata di 40 anni fa, la Città di Potenza ha conferito all’Esercito Italiano la Cittadinanza onoraria “in segno di gratitudine per l’altissimo senso del dovere e per il nobile spirito di solidarietà dimostrati dai propri soldati, fornendo un contributo determinante alla generale opera di soccorso alle popolazioni colpite.”
Sono passati 40 anni dal terremoto dell’Irpinia che costò la vita a quasi 3mila persone. Era il 23 novembre del 1980, un sisma che smosse l’italia verso una solidarieta’ incondizionata. Tra i testimoni di quel dramma c’era anche Antonio Mancinetti, Generale di Brigata (Ris) 1° Battaglione bersaglieri ‘La Marmora’ dell’Esercito, che insieme ai suoi partì da Civitavecchia direzione Avellino per prestare soccorso. “Avevo 28 anni ed ero un giovane tenente che gestiva la parte logistica. Non potrò mai dimenticare la chiamata del mio comandante. Ero a cena dai miei futuri suoceri, ‘vieni in caserma mi disse, c’è stato un terremoto devastante in Irpinia, dobbiamo partire'”, racconta all’Adnkronos Mancinetti.
“Ci spedirono a Mirabella Eclano, comune poco distante da Avellino – ricorda – C’è un episodio che pochi sanno. Quella sera, poco prima del sisma, ci fu un incidente mortale in cui perse la vita un ragazzo del posto e gran parte della popolazione si riversò in strada per soccorrerlo. E per questo in molti si salvarono, perché al momento della scossa non erano in casa. Mi piace pensare che quel ragazzo si sia sacrificato per i suoi concittadini”.
“All’epoca non c’erano i cellulari – spiega Mancinetti – noi già poche ore dopo la prima scossa eravamo pronti a partire con 52 autocarri, ma dovemmo aspettare le autorizzazioni delle varie prefetture, non c’era internet, c’erano i fax. Non esisteva ancora la Protezione civile – racconta – le notizie che arrivavano erano frammentarie, parziali, ma eravamo organizzati bene, molto bene. La leva era obbligatoria e c’era la voglia dei giovani di lavorare per la propria patria, per chi era in difficoltà. Dopo 24 ore arrivò questa autorizzazione e partimmo in autostrada, tutti accodati, direzione Avellino. Una scena bella, di passione di altri tempi. Quando arrivammo, lo scenario era inquietante, faceva un freddo incredibile ma non lo sentivamo. Dovevamo pensare prima agli altri poi, forse, a noi. Feci la prima doccia dopo dieci giorni, non ho mai sentito un solo lamento da parte di nessuno, nonostante non avessimo nemmeno le uniformi adatte”.
Il Generale dell’Esercito ricorda tutto nei minimi dettagli nonostante siano passati 40 anni. “Man mano che passavano i giorni – racconta – ci organizzavamo sempre meglio. Ricordo la tendopoli montata, gli aiuti, il centro raccolta e smistamento, le cucine da campo, i feriti, la ricerca dei superstiti. Ma soprattuto, non potrò mai scordare l’umiltà di quella gente che aveva perso tutto. La loro dignità che quasi non voleva chiedere nulla nonostante avesse perso tutto. Un’esperienza che mi ha segnato tutta la vita, la mia carriera: vedere morte e distruzione per forza di cose ti forgia”.
“Ma la soddisfazione più grande – conclude Mancinetti – è la riconoscenza di quelle persone che ancora oggi ti chiamano a Natale per gli auguri, per ringraziarti. E’ successo anche successivamente, con il terremoto dell’Umbria. Il sorriso della gente e quel ‘grazie capitano’. Una frase che non scorderò mai”.